Domenica 25 novembre: Le voci di dentro (Edoardo De Filippo)

Se non avete mai visto Napoli, suggerisce un proverbio, è ancora presto per morire. Forse io sarò di parte perché ci sono nato, ma questa città è un palcoscenico. Si trascina lungo l'impervio cammino i problemi e i disagi che la stanno distruggendo, ma vivendoli in uno spirito comico permanente, alla luce di un riso eterno e terapeutico. Nemmeno lo scontroso Gogol’, che fu tra quelli che amò Napoli, riusciva a rinunciare all’allegria delle sue strade, a quella teatralità insita nella sua gente, al colore del dialetto e al buon senso consolante di chi lo parla. De Filippo fu uno dei maggiori interpreti della Napoli del dopoguerra. Nella sua opera si fa spazio quell’ambiguità che dobbiamo tollerare anche in Cechov: vengono definite commedie delle rappresentazioni amare e tragiche della vita, dove la parola scompare tra le pieghe del sospetto. Chi ha qualcosa da trasmettere muore, come Cupiello, come zi’ Nicola. Però si ride e il riso, sembra dirci Edoardo, l’eterno riso napoletano ci salva e rigenera, togliendoci anche solo per un attimo dalla fame, dalla povertà, dalla colpa e dall’inganno, da tutti gli angoscianti problemi che hanno minato anche ciò che a Napoli è più sacro, il nucleo familiare. Nelle famiglie di De Filippo si preparano delle tragedie, eppure non si comunica, non si parla, la verità viene alla luce solo per colpa dei pettegolezzi dei portinai e le cameriere, o di singolari coincidenze. Oppure, al contrario, notizie false, generate da sogni indistinguibili dalla realtà, dalle voci di dentro, possono indurre tutti i membri di una famiglia, cameriera compresa, ad accusarsi l’un l’altro di un delitto che non è mai stato commesso, quando invece sarebbe bastato riunirsi e parlare. Succede in quest’opera di Edoardo del 1948. Al Piccinni era una delle punte di diamante della stagione di prosa: Luca De Filippo la sta portando in giro in Italia da due anni, per la regia di Francesco Rosi e la suggestiva scenografia di Enrico Job. Le vecchie sedie da lui ammucchiate in casa Saporito, dove insieme ai due fratelli Alberto e Carlo vive zi’ Nicola, l’unico che sappia veramente comunicare ma che non parla se non sparando fuochi d’artificio o marcando i falsi con lo sputo, queste vecchie sedie appunto, sono tra le immagini più importanti della commedia. Ridotte a materiale di scarto in attesa di essere venduto, stanno a indicare che anche nelle famiglie più “normali” non c’è più l’abitudine di parlarsi, di comunicare e crescere insieme, di stare attorno a un tavolo. La sedia è diventata un oggetto inutile, vecchio e di cui sbarazzarsi, mentre i personaggi camminano in preda all’ansia e al sospetto, difendendosi con affanno e lanciando accuse. “Assassini”, dirà loro Alberto Saporito. Assassini perché pur non avendo ucciso nessuno vi siete comportati come se lo aveste fatto, cercando l’isolamento invece dell’aggregazione. Costruita su irresistibili trovate comiche, Le voci di dentro è una commedia profetica. Ridiamo e riflettiamo. O meglio: ridiamo tanto, dovremmo riflettere di più.

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