17 novembre 2006: "2046" (Wong Kar-Wai)

Serata piovosa e fredda quella di ieri, ero così stanco che dopo cena non ho potuto fare altro che ripristinare una vecchia abitudine: il film in camera. Così, steso sul mio letto cigolante, ho acceso il portatile e ci ho messo dentro un dvd che l’ottimo Valerio mi aveva prestato molto tempo fa. Glielo restituirò con gratitudine, perché è stata un’esperienza particolare. Si trattava di “2046”, l’ultimo film di Wong Kar-Wai disponibile per il pubblico italiano, in attesa che esca nelle sale il suo nuovo lavoro, presentato a maggio al Festival di Cannes. Ho imparato a conoscere questo regista da poco tempo, a Bari. Stefano, infallibile cinefilo, mi aveva prestato “Hong Kong Express” e poi “In the mood for love”. Non ho avuto dubbi, si tratta di un orafo dello schermo. Quando vedi un suo film hai l’impressione che lui ci sia sempre, che non ti lasci mai, con i suoi tocchi di classe, i suoi esatti schizzi di stanze segrete e mani che sfiorano un muro sotto la pioggia. Wong Kar Wai è come un direttore d’orchestra che guarda il pubblico girando le spalle ai musicisti. Musicisti eccellenti. Lui cerca te, spettatore, ti sorride e poi scompare dietro le tende e i separé delle case di una Hong-Kong anni Sessanta. Lascia tracce indelebili però, evoca scene che hai dimenticato perché non hai pazienza, perché nella fretta della tua vita non ripensi alle cose che hai vissuto. Lui, orientale, torna a ricordarti tutto con i suoi leitmotiv. Sublimi brani musicali e suggestive arie d’opera, scene di giunzione all’inizio e alla fine del film, luoghi e oggetti, eleganti metonimie (valga per tutte il guanto della “vedova nera”) che generano personaggi: guanti, banconote, gonne, carte da gioco, apparecchi radio e soprattutto porte, ringhiere e scale. Come quella che conduce alla pensione in cui abita lo scrittore Chow Mo Wan. Generoso dongiovanni, trascorre nella camera 2046 le sue ore liete con Su, l’unica donna che ha veramente amato tra tutte quelle, bellissime, che ricorda e ci racconta. Intanto però pensa al romanzo che sta scrivendo e che ha lo stesso titolo del film. Lo immagina come un viaggio nel futuro, in cui si vivono, rispetto al presente, analoghe situazioni, nel cui mondo di robot e treni velocissimi compaiono anche gli stessi personaggi, ma da cui non si torna più indietro. Lo fa solo il narratore, protagonista e regista. Un messaggio radio alla fine del film ci fa capire che questo 2046 è una metafora sul destino politico di Hong-Kong, pericolosamente stretto tra Cina e Inghilterra. Ma a noi piace pensare alla microstoria, ai Chow Mo Wan, alle sue donne, alle camere, le bische, i ristoranti di questa bellissima Hong-Kong, ai lampioni e le strade che nemmeno la grande storia, ci sussurra Kar-Wai, potrà cancellare.

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