All'aeroporto (2)

C'è tanta gente che aspetta, come me, in aeroporto. Chi è atterrato, ha preso il bagaglio, esce dalla porta degli arrivi e si guarda in giro, in attesa di scorgere la persona che deve incontrare. Alcuni incontrano subito questa persona, altri guardano pur sapendo che nessuno è venuto, altri ancora si rallegrano di una presenza inaspettata. Una ragazza mora, bellissima, capelli lunghi e lisci, un paio di jeans e di stivali portati con eleganza, un maglione sportivo blu, è appoggiata alla ringhiera che sta davanti alla porta a vetri scorrevole da cui escono i viaggiatori. Ha le braccia conserte, come per ripararsi da un freddo che non c'è. Attende qualcuno che le porterà calore. Ha gli occhi inchiodati su quella porta, da cui esce un ragazzo molto alto, anche lui molto bello, con un lungo impermeabile beige, una valigetta in pelle morbida, giacca, cravatta, ma incedere sportivo. Un paio di Clarks. La vede prima di superare la porta, subito, fa cadere la valigetta, ma lo fa con uno straordinario self control. Apre le braccia e lei vi si getta, ma con calma, come per far capire che è una scena accaduta più volte, che questo momento va vissuto piano. Lui la accarezza e la bacia con sobrietà, le sussurra qualcosa, lei è abbandonata. Lui riprende la valigetta, la abbraccia e non parla più. Mentre i due si allontanano da lì, io che li guardavo pensai che l'egoismo in quelle persone non esisteva, che avrei voluto essere l'autista della loro macchina, un soprammobile della loro casa, che la mia solitudine era pesante, che volevo portarmi a casa un po' di quell'atmosfera che avevano creato in mezzo a tanta gente che sbuffava, una luce improvvisa. Anche io ero lì, quella sera.