Venerdì 23 novembre: Arancia meccanica (Stanley Kubrick)
Amo molto il Kursaal, quando ci entro mi dà una piacevole sensazione di intimità e calore, con quelle vecchie poltrone morbide e leggermente inclinate di velluto beige. Quando mi ci siedo nell’attesa che cominci il film, girato verso l’entrata per vedere chi arriva (un piacere di cui non mi voglio privare mai), è come se tornassi a casa dopo una lunga giornata di lavoro passata in piedi. Ecco perché al Kursaal arrivo sempre un po’ in anticipo: specialmente ieri sera. L’occasione era ghiotta. Un gruppo di lungimiranti studenti ed esperti di cinema ha organizzato una rassegna sugli anni Settanta (www.sentierinelcinema.it) e a inaugurarla proprio il film di Kubrick, in versione restaurata. Ero minorenne quando lo vidi la prima volta. Non al cinema, ma da un amico di Bergamo che possedeva centinaia di videocassette duplicate. Lo vidi e non lo capii. Mi ero fermato alla violenza e alla forza significante delle immagini. Eppure avevo già in qualche modo percepito segni di grandezza. La grandezza di un’opera che riesce ad essere impressionante e attuale anche dopo quasi quarant’anni: si parla di libero arbitrio, violenza, politica e futuro senza che un solo argomento di questi rimanga ancorato al passato. Un altro che ci riesciva sempre era Dostoevskij. Comunque vedere Arancia meccanica per la sesta volta, ma la prima sul grande schermo, mi ha dato sensazioni nuove, ad esempio quella di guardare un capolavoro insieme a centinaia di altre persone in estasi, in una sala piena e silenziosa, come nelle vere grandi occasioni. Insegnando una lingua, sono portato a consigliare sempre la visione di un film in lingua originale. Ma se lo facciamo con Arancia meccanica, perdiamo una straordinaria possibilità: i dialoghi italiani di Riccardo Aragno riflettono in modo non meno efficace dell’originale il gergo colorito e poetico di Alex e i suoi tre drugi, invenzioni linguistiche che Burgess stesso aveva costruito sul russo: “e tutti i più malenchi peli del mio intero plotto si drizzarono dall'emozione”. Quante altre parole russe ci sono? Sarà una bella cosa da verificare con i miei ragazzi. Sul film, pieno di colpi di genio, di eleganti raccordi tra arti diverse, di scene di atroce violenza accompagnate dalla Gazza ladra di Rossini, potrei scrivere per ore senza annoiarmi mai. Molto chorosho! Mi limito a ricordare uno dei tanti quadri in movimento che Kubrick dipinge: guardate quando Alex si ritrova chiuso in una camera in casa dello scrittore, costretto ad ascoltare Beethoven e quindi indotto a trovare nel suicidio l’unica via di uscita da quella tortura. Guardate come sono rappresentati lo scrittore, la guardia del corpo e i due ospiti intenti a godersi lo spettacolo della tortura. Io ci vedo tracce di Delvaux, Dix, Bacon. Ma forse, a vederlo la settima volta, si scende ancora più in profondo. Il buon vecchio Kubrick, un inesauribile genio.
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