Su un marciapiede
Una madre e un camminano insieme, sul marciapiede che costeggia una grande curva in una piccola città di provincia. Lei è stanca, affaticata dal caldo e dalle buste della spesa di cui lui fa finta di non accorgersi. Sta pensando cosa preparare, ma soprattutto che suo figlio sta crescendo, che alcune volte ultimamente ha anche indossato una cravatta, che un giorno dovrà andare via, che lo vede triste. Mentre lei cammina lungo il marciapiede, passando accanto al piccolo monumento dei caduti, lui che la segue da dietro con la testa china, vorrebbe andare a casa, staccarsi da lei e tornare nel suo mondo, a pensare ai suoi progetti, al suo futuro di viaggiatore, ma anche alle frustrazioni della propria vita, la mancanza di lavoro, la stanchezza per gli studi che si prolungano e una ragazza a cui è convinto di non poter piacere. Ha caldo perché indossa una giacca troppo pesante, non ha voglia di parlare: parla pochissimo lui, preferisce che la gente capisca che non sta bene, piuttosto che dirlo. Preferisce corrugare la fronte e trasmettere il proprio dispiacere, piuttosto che urlare e sfogarsi. La madre ogni tanto si gira e lo guarda, appesantita dalle borse di plastica bianche e verdi, dalla cose che ancora dovrà fare. Ora bisogna andare a comprare il pane, ma ci sono alcune centinaia di metri fino al panificio: con le buste della spesa piene, sotto un caldo soffocante e vicino a macchine grandi che passano veloci sull’asfalto bollente. Lui si ferma, vuole andare a casa, sa di darle un dispiacere facendo così. Vuole provocarla, ferirla, in quel momento non conosce altri modi per comunicare: “Senti non ho voglia, te l’ho detto, vacci tu, perché devo venire anche io?” E poi si gira, scocciato, per andare verso casa, nella direzione opposta. Ma sente una voce rotta dalla fatica e dal dispiacere rispondergli subito, come per non lasciarlo scappare: “Ti prego, vieni anche tu”. In quelle parole della madre c’è anche una sfumatura di disperata comprensione, che lui non percepisce subito. Però si volta e la guarda: lei è ferma, stanca e indifesa, le buste della spesa molto pesanti, il respiro veloce, ha le mani occupate e non può aggiustarsi gli occhiali che scivolano sul naso, mentre con gli occhi gli ripete quelle parole: “Ti prego, vieni anche tu”. E’ un attimo lunghissimo, lui la guarda e viene folgorato da un improvviso senso di colpa: sì, perché in fondo, anche se non gliel’ha mai detto, gli è sempre piaciuto andare con lei a scegliere i panini da mettere a tavola, entrare in quel negozio dopo aver infilato le mani nella vecchia tenda a strisce di plastica blu, salutare l’uomo simpatico con l’impermeabile blu che sta sempre vicino alla cassa, farsi inebriare da quell’antica cortesia che la panettiera riserva ai clienti speciali, sentire l’odore dei pezzi di focaccia calda ammassati dietro al vetro e guardare subito dopo il sorriso e il cenno di comprensione della madre, vedere sul suo volto quella semplicità che precede un atto di sacrificio. E il perdono. Madre e figlio: li ho visti un giorno in cui anche io ero su quel marciapiede.
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