In una casa

“Scrivi solo cazzate! L’ho sempre pensato, ma non te l’ho mai detto. Perché credevo di amarti”. Lo dice furente, arrabbiata, delusa. Non riesce più a trattenersi. Lui è arrivato con un mazzo di fiori, in bocca un retrogusto di vino, fa finta di essere felice, è volenteroso. Dieci minuti prima lei si stava guardando allo specchio, vicino all’ingresso dell’appartamento. Da quando non lo ama più, la gentilezza di lui si trasforma in sgarbo, le sue carezze in schiaffi, i baci in morsi, i fiori in pezzi di plastica colorati con il sangue. “Scrivi solo cazzate! L’ho sempre pensato, ma non te l’ho mai detto. Perché credevo di amarti”. Lui percepisce queste parole come sorsi di veleno, gli fa male il fegato da alcuni giorni, ha smesso di mangiare perché lei è fredda, ha smesso di fare ricerche e scrivere perché non ha voglia di stare meglio, perché ha solo bisogno di lei. Ora è sudato, ha corso in fretta le scale per arrivare in tempo. Perché i fiori non possono aspettare. Lei non piange mentre gli sputa veleno addosso, lui vorrebbe, ripensa a una prima volta. Era in un grande atrio, in un’università nuova, in Oriente: alcuni colleghi si avvicinano a lui, vedendolo arrivare. Una vecchia professoressa che non lo conosce è tra questi, lo chiama mentre lui gira lo zucchero in un bicchiere di tè: “Così giovane e già così bravo”. Avrebbe pianto nel bagno della facoltà dieci minuti dopo, ripensando a come tutte le frustrazioni del passato si possano trasformare in momenti di luce fulminante. Ora però, tra le mura di quell’appartamento, tutto è diverso: “Scrivi solo cazzate! L’ho sempre pensato, ma non te l’ho mai detto. Perché credevo di amarti”. Smette di sudare, di parlare, è alto uno e novanta, in quel momento si stupisce di pensare una cosa stupida: “chissà se le lacrime di un uomo alto come me sono più grandi di quelle di un uomo di altezza normale”. Poi mette i fiori sul tavolo, lei è girata verso i pensili bianchi della cucina. Fuma. Lui, senza guardarla, si volta, tiene la testa chinata, va verso la porta. Ma non esiste una porta. Non esistono le mura. Non esiste più niente di solido. Per lui è solo il vuoto. Questo lo so. Perché c’ero anche io quel giorno. E ho visto tutto.

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