"Anna Karenina" di Nekrosius
"Se vuoi che la tua ragazza ti lasci, portala a vedere lo spettacolo di Nekrosius. Dura cinque ore", mi dice scherzando la collega V.R. E' vero: cinque ore, ma se anche fossero state sei, io e Cinzia saremmo rimasti probabilmente seduti a lasciarci affascinare dalle visioni di questo regista lituano, classe 1952, che da alcuni anni domina la scena teatrale internazionale con spettacoli ad altissimo contenuto simbolico, tratti spesso dalla letteratura russa. Molto lunghi, certo, ma perché intensi, profondi, intrisi di una personale e altissima rielaborazione artistica del testo letterario. Vedendo Anna Karenina, ho ripensato a tutte le volte in cui si dice con un po' troppa leggerezza che "certi romanzi dell'Ottocento sono immortali". Ho letto tre volte Anna Karenina, uno dei miei romanzi preferiti. In assoluto. Lo sanno anche i miei studenti. Ammetto tuttavia che qui, dalla dimensione 2008, si possa restare lontani dal mondo dell'aristocrazia russa dell'Ottocento dipinto da Tolstoj, dalle convenzioni, i ruoli, la quotidianità dei personaggi che vivono le loro passioni in una continua esigenza di dominio di se stessi di fronte al pubblico. Invece Eimuntas Nekrosius mette in scena le nevrosi che potremmo riscontrare nella nostra esistenza, ma non vedere tra le pagine di Tolstoj: persino Stiva, lo scialbo fratello di Anna, appare come un burattino impazzito. Il lento declino di Anna è marcato dal tempo: orologi rotolano sul palco, in guisa di treni, per simboleggiare la caducità della passione, il tormento della solitudine, la falsità dei giudizi della società, mentre giochi di specchi e cornici ci portano tra i gironi infernali attraverso cui Anna sprofonda fino al suicidio (geniale la rappresentazione del treno che la investe). Tra le urla di tutti coloro che le stanno attorno (Karenin compreso!), ma che non possono capirla. Bellissimo il momento dei due celebri monologhi di Anna, l'attrice Mascia Musy si abbandona a uno "stream of consciousness" straziante, l'anima della protagonista lascia il suo corpo, si mette nelle mani di uno strano personaggio, un uomo basso e cattivo (l'incubo di Fussli? la "nedotykomka" di Sologub?) che ne rappresenta l'inconscio e che appare come un imprendibile demonietto sulla scena per svolgere vari ruoli. Questo straordinario spettacolo è un viaggio visionario tra le ombre di un'eroina classica, che però fa sentire l'eco del suo dolore fino alle piazze del XXI secolo.
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