"The burning plain". Il confine della solitudine
L’argentino G. Arriaga, che ha diretto questo film, è stato anche sceneggiatore di “21 grammi” e “Babel”, due lavori che ho molto apprezzato e il cui principio compositivo è l’incrocio improvviso tra storie sostanzialmente diverse, ma scaturite da un fatto marginale (la vendita di un fucile in Babel) o dall’oscuro passato di un personaggio, come in questo film. Queste storie sembrano inizialmente procedere su binari differenti, ma il loro creatore, aiutandosi con calibrati salti temporali e dosando le risposte allo spettatore, lascia delle tracce di congiunzione, lavora, cioè, su quelle che Tomaševskij definiva “motivazioni compositive”: un certo particolare non viene inserito a caso, ma tornerà utile nel prosieguo dell’opera. Čechov d’altra parte spiegava: “Se all’inizio del racconto si dice che un chiodo è conficcato nel muro, alla fine dovrà impiccarsi l’eroe”. Ecco un esempio nel film di Arriaga: al funerale del padre di Santiago, bruciato tra le braccia della sua amante (un’ottima Kim Basinger!) in una baracca dispersa vicino al confine con il Messico, il marito della donna adultera si porta i suoi quattro figli per maledire quelli dell’uomo che gli ha portato via sua moglie. Solo la figlia maggiore, quando si trova Santiago davanti, sembra volersi fermare per un attimo in più. Capiamo in quel momento che tra i due sboccerà qualcosa. Si tratta di un rapporto che nasce troppo presto, attraverso cui la ragazza cerca di liberarsi inutilmente del peso immenso di un gesto, involontario ma fatale, compiuto proprio contro la madre. Alcuni anni dopo questo accadimento (ad interpretarla ora è Charlize Theron), cerca ancora di trovare un equilibrio come responsabile di un bel ristorante, svariate e superficiali avventure con uomini diversi le portano solo disordine e desiderio di morire. La vediamo su un’alta parete rocciosa, come in un quadro di Friedrich, sulla soglia del suicidio. Poi, improvvisamente, si rifà vivo quel Santiago da cui lei aveva avuto una bambina, ma da cui era scappata per la vergogna del suo gesto. Tutto scivola così verso un avvilente lieto fine che è il tallone d’Achille di questo film. Si ha l’impressione che un epilogo così banale sia stato imposto al regista, così, invece di pensare alla fine del film, si preferisce ritornare al suo sviluppo, al confine della solitudine, alla waste land che sta nell’anima di alcuni personaggi, quel senso di vuoto che esplode improvvisamente nei loro destini come il gas distrugge lo squallido rifugio degli amanti, ma si porta dietro per anni anche le conseguenze
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